In questi giorni di crisi economica mondiale si legge, da ogni parte, che il miglior investimento da fare oggi è in opere d’arte. Perciò si consigliano, risparmiatori e grossi investitori ad abbandonare i soliti interessi che non danno più nessuna sicurezza di guadagno.
Sicuramente nel panorama odierno, proprio quel tipo di mercato, sembra aver preso a vivere un’autonomia anche dalle stesse opere d’arte divenute ormai semplici “cose” da alienare, per giustificare spostamenti di ingenti capitali, passaggi di mano tra società che hanno nel mirino la speculazione, il facile guadagno, con ricarichi sempre più esosi, a ogni passaggio di mano.
Questo tipo di mercato degenere annunciato, sede di faccendieri e di critici compiacenti, avvalendosi anche della complicità di musei e gallerie “alla moda”, hanno generato, nel tempo, un pubblico ignorante, che fruisce dell’arte come di un qualsiasi altro prodotto da consumare al momento.
I grandi musei sono visitati e guardati come uno zoo d’arte; il pubblico si raduna sempre davanti ai soliti nomi famosi, a quelle icone create da un mondo finanziario che vuole darsi un tono e una giustificazione alla speculazione, attraverso la cultura.
Sono sicuro che Van Gogh, Modigliani, Morandi….si scandalizzerebbero, se potessero avere coscienza dei prezzi esorbitanti pagati per le loro opere.
Vi racconterò, invece, come è nato il “mercato” del pittore Eugenio Pardini.
Erano i primi giorni di gennaio del 1962, Eugenio aveva ripreso, dopo le feste natalizie, a lavorare ai “baracconi “(così chiamavano i brutti edifici che il comune aveva dedicato per la costruzione e il ricovero dei Carri del Carnevale di Viareggio) . Il lavoro di pittore, non ci dava da vivere decentemente, nonostante i successi già ottenuti dal Pardini fin dal lontano ’48, prima partecipazione alla Biennale di Venezia- a questa ne seguirono altre due la XXV e la XXVIII edizione. Aveva già partecipato alla Quadriennale di Roma: nel 1943,1948, 1956 , 1960, premiato alla Internazionale Marinara di Genova, nel 1951, premiato alla Biennale Nazionale di Pontedera 1951,1954,1955, 1961-poi la Mostra Nazionale “ Il Fiorino” di Firenze 1960, e la Mostra Nazionale “Premio Modigliani (sempre premiato), 1955,1958,1959-
Allora stavamo a Viareggio, in via Machiavelli al numero 46, un piccolo appartamento ricavato dalla divisione in tre parti, con altri eredi, di quella casa che lo aveva visto nascere- una tipica casa viareggina; i soffitti molto alti, e un orto, nella parte interna, con una casetta messa a confine con le altre proprietà.
Lui stesso volle fare il progetto, e benchè non avesse fatto nessuno studio specialistico , i lavori eseguiti per il carnevale e altre esperienze maturate in una vita in cui bisogna arrangiarsi a fare di tutto, ogni mestiere, per sopravvivere, gli permisero di cavarsela bene.
“Nella sua casa di Viareggio, percorsa da scalette con le ringhiere di corda e da aerei balconcini, stavo chiedendomi, una mattina d’aprile ridente di sole e di brezza che scherzava col gran pavese della biancheria stesa fra i tetti, donde mai Eugenio Pardini avesse tolto il sentimento quasi religioso del mare… Pardini, uomo schivo e di poche parole, mi aveva mostrato le sue opere in silenzio, gli oli e gli affreschi, grandi e piccoli, risaliti a riempire le intere pareti della casa dal fondo dello studio, sito laggiù, ai piedi d’un’altra stretta scala, in una piccola corte che pareva un pozzo ed era come la stiva d’una nave. Così la descrisse un famoso critico d’arte che venne a farci visita, Renato Righetti.
In quel gennaio del 1962 eravamo a tavola per pranzare, quando squillò il campanello.
Ci guardammo in faccia esitanti, perché quello non era certo un periodo di tante visite, poi dopo qualche secondo feci scattare l’apriporta automatico, e salirono per quelle ripide scale, che portavano in un unico fiato al terzo piano, due figure determinanti per la vita della nostra famiglia e della carriera artistica di Eugenio. Un Caro amico di Firenze aveva portato con se a farci visita Mario Lebole, un grande industriale dell’abbigliamento e raffinato intenditore d’Arte.
Non finimmo di mangiare, ma ci affaccendammo per sistemare alcuni quadri sulle sedie, per mostrarglieli.
Sul viso del signor Mario si illuminò un sorriso che non si spense più fino a che gli presentammo fino all’ultimo quadro che avevamo in casa. Fissava quelle tele con intensità, in silenzio, si notava sul suo viso una certa commozione. Abbracciò mio padre, e indicò sei quadri; li pagò un milione l’uno.
Così come era venuto se ne andò, zoppicando, giù per quelle scale. –Manderò io un camion della ditta a ritirare i quadri – disse, e si tirò dietro la porta. Eugenio era ancora al bordo delle scale, rimasto li, con i soldi in mano, mia madre seduta si asciugava le lacrime dagli occhi.
-Dovessimo mangiare pane e cipolla, ma tu lascerai il carnevale e ti dedicherai solamente a dipingere!- disse mia madre ad Eugenio.
Con quei soldi pagammo i conti al negozio di alimentari, saldammo il macellaio, il verduraio, e rinnovammo i mobili di casa. Eugenio lasciò il suo lavoro al Carnevale, e iniziò un’avventura che è terminata solo con la sua morte.
Il mercato di Eugenio si aprì in quel modo, senza galleristi, faccendieri e battitori d’asta, e continuò, forte della fiducia che i suoi acquirenti avevano in lui, dell’affetto, dalla voglia di circondarsi di cose belle che i quadri del Pardini trasmettevano.
Ha goduto dell’assistenza di veri mecenati, che lo hanno seguito passo, passo durante le sue ricerche, incoraggiandolo, finanziandolo, proponendo le sue opere ad altri. E’ così che ha avuto accesso ai più importanti luoghi di esposizione italiani e stranieri :Il Museo Degli Uffizi a Firenze, il Palazzo Dei Diamanti, il Palazzo Strozzi , il Palazzo della Cultura a Valenza Po, la Fondazione Viani, Al palazzo”La Versiliana” col patrocinio di tutti i comuni della Versilia, al Palazzo Ducale di Colorno, al Palazzo Paolina di Viareggio, al Palazzo Rebellini a Acqui Terme , al Palazzo Panciatichi della Regione Toscana, al Palazzo Collacchioni a Capalbio…e il riconoscimento della migliore critica : Mario De Micheli, Franco Russoli, Mario Tobino, Diego Valeri, Franco Antonicelli, Enzo Carli, Silvio Micheli, Leonida Repaci, Raffaele Degrada, Emilio Paoli, Ruggero Orlando, Dino Carlesi, Piero Pacini, Evgenji Evtuscenco, e molti altri. Tutti diventavano suoi amici, e tutti ambivano a possedere una sua opera se pur piccola.
I quadri del Pardini non hanno fatto il giro dei mercati e dei mercanti, ma sono incollati alla pareti nelle case dei suoi estimatori che per nessuna ragione al mondo se ne vogliono separare.
Eugenio non si è mai preoccupato di costruirsi un “mercato” perché non ne ha mai avuto bisogno.
Forse non molti conosceranno il suo nome, ne lo troveranno presente in queste moderne “fiere “dell’arte, ma la sua vita ha rischiarato quella di molti, ed è stato un esempio di artista aperto e generoso, sempre pronto anche a regalare una sua opera ,a chi,vedendo che capiva la bellezza del suo lavoro ma non poteva acquistarla.
Come disse il poeta russo Evgenij Evtuscenko, -Il tuo quadro, caro maestro, è diventato parte della mia famiglia.
Bruno Nencioni Pardini
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