Restauro

Settembre 2005 – Maggio 2010

Dedicarmi al restauro di gran parte dell’opera di Eugenio, ha avuto per me , che sono suo figlio adottivo, una grande importanza, ma è stata anche una dura prova- non solamente ripulire, montare, incollare catalogare e classificare , ma piuttosto riprendere il “capo” di un filo narrativo, espressivo, che voleva comunicare i valori eterni per l’umanità e che oggi, a maggior ragione ci è sembrato necessario riproporre, proprio con questo lavoro: L’amore per la vita e la bellezza, il rispetto dei giovani per il loro vigore e le loro speranze e degli anziani per loro sapienza e la forza che hanno dovuto trovare per superare gli anni di una lunga vita , per l’intelligenza, l’onestà e la pace tra gli uomini di ogni razza e religione.

Restaurare un’opera non è solamente applicarsi in virtuosismi tecnici per non snaturare l’ossatura dell’opera, ma cosa più importante è recuperare, capire e rivivere, per quanto possibile ,le stesse emozioni, le stesse motivazioni che hanno spinto l’artista a fare ciò che ha fatto.

Io non sono un restauratore di professione, ma penso che ogni bravo artigiano impegnato in questi frangenti, si preoccupa di studiare e approfondire le tematiche, i materiali, fin nei minimi particolari, così che tutti quei dettagli potranno , restituire a chi le guarda, opere magari vecchie di secoli , un nuovo splendore.

Debbo dire che per quanto mi riguarda, questo tipo di sapienza viene direttamente dalla mia vita vissuta con lui. Una storia non sempre facile, un carattere,il suo, da sopportare spesso, data la mia giovane età, quando già pretendeva che mi impegnassi come suo aiutante a pieno titolo, assieme a mia madre.

Perciò quelle ricerhe fatte insieme sulla qualità della calce per i suoi affreschi, l’esecuzione degli impasti di base, quando lui se ne stava in alto sui ponteggi a dipingere a “Fresco”, la preparazione dei colori minerali, mi preparavano quasi profeticamente per il lavoro che poi avrei eseguito molti anni dopo.

Nei restauri ho cercato di rispettare lo spirito dell’artista anche nella scelta dei materiali poveri,(così avrebbe fatto il Pardini).

I listelli , la colla Vinavil le tele i cartoni e i passepartout, il montaggio dei disegni posso certificare che sono come li avrebbe condotti lui.

Sono stato sempre al suo fianco, come aiuto generico, come modello per lo studio delle sue figure per i grandi affreschi, come falegname, corniciaio, e stampatore di acquaforte con torchio a stella.

Da Eugenio ho imparato a non arrendermi mai di fronte alle difficoltà, e questo mi è servito soprattutto quando, dopo una serie di lavori minori, preparatori, ho dovuto affrontare il restauro dei grandi cartoni.

Mi sono trovato ad affrontare la composizione di colori nati solamente dalla sua fantasia e combinati insieme dalla sua arte; devo ammettere che avrei gettato volentieri la spugna, ho passato intere giornate a guardare quei grandi pannelli, senza avere il coraggio di intervenire direttamente sull’opera. Facevo continuamente prove di colore, cercavo i materiali giusti, ma non raggiungevo mai la piena soddisfazione, non sarebbe stato un restauro ben riuscito. Passavano i giorni ,ma nonostante i miei sforzi non riuscivo a fare progressi… Una notte però mi sognai che Eugenio entrava (nel grande capannone, dove lavoravamo), insieme a mia madre, e cominciava a gironzolare tra le varie opere guardando qua e la, senza esprimere nessun parere; ero preoccupato del suo silenzio, ma non osavo chiedere niente; anche mia madre che si era fermata ad osservare un blocco di disegni, proprio quelli fatti con inchiostro di china bianco su fogli neri- quei fogli che si usavano una volta per proteggere le lastre radiografiche, e che suo cugino che lavorava in ospedale, gli forniva.

L’espressione di mia madre era bonaria, mi sorrideva come sempre, ma non la presi molto in considerazione perché, per lei, qualsiasi cosa facessi era sempre fatta bene. A un certo punto anche il Pardini si girò verso di me e potei leggere in lui un’espressione di soddisfazione.

Mi svegliai improvvisamente, e non riuscii più a prendere sonno.

Il mattino dopo ero sul ponte a restaurare il primo grande cartone con un risultato che mi sorprese così tanto che chiamai mio figlio ad alta voce:

-Guarda Pietro, che ne dici?- Rimase stupito anche lui.

Qualcosa si era sbloccato nella mia coscienza, il mio spirito finalmente si era liberato di certe difficoltà che spesso sentivo nell’affrontare quel duro lavoro; ora non si trattava più di abilità e di forza di resistenza, ma lavorava in me una nuova energia, l’amore per un padre che non avevo conosciuto abbastanza, ora ero io a dare la mia vita per lui.

Di tutto questo devo ringraziare Sean Ferrer, che come un antico mecenate, con il suo sostegno non solamente economico, gratificandomi anche di una sincera stima ed amicizia, ha fatto si che questa operazione la abbia potuta compiere con l’aiuto di mio figlio Pietro, stabilendo così, ancora una volta questo inevitabile passaggio di conoscenze e di valori umani- di padre in figlio, ancora per una generazione.

Bruno Nencioni Pardini

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